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"Se deve soffrire preferisco una punturina". Quante volte me lo sono
sentito dire. La "punturina" immagino abbiate già capito cos'è. Tecnicamente si
chiama eutanasia o soppressione. Sia chiaro, considero l'eutanasia un
supremo atto d'amore nei confronti di chi, senza poterlo capire e senza potere
esprimere appieno i propri sentimenti, ha davanti soltanto una sofferenza
incontenibile, senza alcuna speranza di guarigione o remissione della malattia.
Personalmente sono peraltro favorevole, anche in campo umano, alla libertà di
scegliersi il proprio destino. Rispetto chi è contrario a staccare la spina,
ma questo mi va bene se si tratta della sua. Per quanto riguarda la mia voglio
decidere io.
I nostri animali non possono decidere, esattamente come chi versa in
uno stato di coma o di incoscienza.
Siamo noi a
dovere decidere per loro e troppo spesso mi accorgo che il dolore viene
parametrato in modo diverso se applicato all'uomo o all'animale. Un familiare o
un amico che viene colpito dal cancro, viene capito e sostenuto durante le
terapie che si mettono in atto per farlo guarire o permettergli di allungare le
proprie aspettative di vita. La sofferenza, i disagi, la grave depressione che
consegue ad una malattia sempre impegnativa e purtroppo talvolta fatale, sono
perfettamente compresi, a maggior ragione se si tratta di malattie che magari
implicano fasi terapeutiche dolorose, ma con ottime possibilità di guarigione.
Conosco una donna di 36 anni che, a causa di una rara malattia, ha già subito 18
interventi chirurgici e tuttavia ha un marito e dei figli che la amano e tanti
parenti e amici che la sostengono. E quando la vedo sorride sempre.
Quando entra in crisi seria il cane, il gatto, il coniglietto nano o il
criceto "se deve soffrire, meglio la punturina". Solo a sfiorare
l'argomento "tumore" o "chemioterapia" per un cane o un gatto, un'elevatissima
percentuale di proprietari invoca già l'eutanasia. E spesso, non si convincono
neanche mettendoli a conoscenza che i chemioterapici, come d'altronde il
cortisone, sono molto meglio tollerati, dal cane e dal gatto, rispetto all'uomo.
Il linfoma, uno dei tumori più frequenti del gatto, può essere ben
curato con un'iniezione ogni tre settimane e qualche pastiglia a casa, senza
effetti collaterali drammatici e con qualche controllo del sangue, a costi
assolutamente accettabili. Certo, il gatto non guarisce, ma gli si può dare fino
ad un anno e mezzo di ottima vita. "Solo un anno? No, no, dottore. Se deve
soffrire, per avere un anno di vita, meglio la puntura". Già, un anno di vita.
Forse poco per noi, ma per lui? Noi siamo abituati a parametrare il tempo
secondo i nostri ritmi, ma l'anno di un gatto, per la sua percezione del
tempo, equivale a sette dei nostri. Vorrei conoscere qualcuno che, colpito da un
tumore, rifiutasse una cura che gli permette una vita pressoché normale per
almeno sette anni.
Oscar Grazioli
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